Il calcio, tra misera teologia e discorso ontologico. La Juve di Allegri e il Napoli di Sarri

Una delle massime più abusate della filosofia è “La religione è l’oppio dei popoli” di Marx. La si usa per liquidare argomentazioni di tipo deistico. Come dire, in modo pigro e svogliato, che se il popolo crede in Dio, è per avere un senso, quindi l’esistenza di Dio è funzionale alla vita dei popoli. Nella “Critica della filosofia del diritto di Hegel” Marx, in realtà, non cerca di fondare l’ateismo – avverrà qualche anno dopo con la morte di Dio (Nietzsche) – bensì di mostrare il ruolo della religione e della fede nell’organizzazione della società e dello stato. L’uomo guarda a Dio per ritrovare se stesso e la religione è “un compendio” perfetto della realtà. Infatti, dice “La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo”. Archiviata in modo significativo l’epica religiosa, l’oppio dei popoli diventa il calcio. I suoi argomenti sono straordinariamente simili a quelli che riguardano il divino: fede nella maglia, unico amore, identità e appartenenza, mistica del gol e redenzione nella vittoria. Da un punto di vista sociale, il coinvolgimento emotivo dello sport e nello specifico del calcio, non va sottovalutato, e diversi sono gli studi in questo senso. Suggestiva la sovrapposizione dell’antropologo Marc Augé (Football, ed. EDB, Lampi), che vede nello stadio una cattedrale e nella coppa il Santo Graal. Si pensi alla preghiera dei cori delle curve, alla tensione che porta alla parusia della partita.

Lo stesso Paolo nella lettera ai Corinzi (9, 24-27) si serve della metafora sportiva, per indicare la tensione, lo sforzo e il raggiungimento della verità e della redenzione: “Non sapete che coloro i quali corrono nello stadio, corrono tutti, ma uno solo ottiene il premio? Correte in modo da riportarlo. Chiunque fa l’atleta è temperato in ogni cosa; e quelli lo fanno per ricevere una corona corruttibile; ma noi, per una incorruttibile”.

“Uno solo ottiene il premio” e solo uno ottiene “il premio incorruttibile”. Non vi ricordano qualcosa queste parole? Quanto mai attuali risuonano. E quanto sono simili e speculari al notissimo “conta solo vincere” di juventina memoria.

L’impressione è che, nelle parole di Paolo, oltre a ritrovare gli argomenti fondanti la religiosità cristiana, si rincontrano le paranoie bianconere. La vittoria sportiva, intrisa di significati sociali, è rivalsa, festa, incanto, mentre per gli juventini è una sorta di diritto acquisito, di manifestazione di Dio in terra. Il loro approccio e la loro assoluta incapacità a fare autocritica, li rendono più simili a una setta che a una tifoseria. Così possono essere spiegate le reazioni a presunti torti: “Ma come? Ti rendi conto? Oltraggiando Buffon, è stato oltraggiato Dio”.

Al di là di questa ricaduta antropologica, il calcio è uno sport. È realizzato da atleti che si allenano e si preparano fisicamente per poter eseguire le idee del loro stratega, l’allenatore. Fuori da qualsiasi apologetica, è divertimento, svago, aggregazione. La normalizzazione che il Napoli di Sarri ha offerto alle suggestioni religioso-calcistiche italiane, stonano, sono inattuali, smascherano quel fenomeno delirante e lo rendono quello che è: uno sport legato ad applicazione e sacrificio. La massa adorante si è immedesimata in una rivoluzione di buon senso ed onestà, in antitesi alla logica del denaro, dell’alienazione nella vittoria a tutti i costi.

La stonatura è stata tale che, all’apice della tensione, uno dei profeti dell’invasata squadra avversaria, ha sbottato: Se proprio la gente vuole divertirsi, vada al circo! Ecco il punto. Lo stadio non è un luogo di evasione, ma la solita noiosa e appestata cattedrale, che certifica l’idiozia di un popolo e, in questo caso sì, l’inesistenza di Dio.

Se il calcio, come la religione, è l’oppio dei popoli, Sarri sta al calcio come una prova ontologica. La Juve come il disastro culturale e religioso che affligge l’Italia.

 

 

 

 

 

 

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